Un silenzio che si fa voce per Gaza: l’incontro dei nostri studenti con Mario Soldaini
Un silenzio denso ha riempito l’aula Confucio del Liceo Leopardi lunedì 24 novembre , quando le classi 1F, 2GL e 4GL, accompagnate dalle prof.sse Laura Crucianelli e Raffaella Zambuto, hanno incontrato Mario Soldaini, uno dei curatori del volume “Il loro grido è la mia voce - poesie da Gaza”.
Ospite a Macerata per il festival internazionale “Licenze poetiche”, Mario Soldaini ha accolto l’invito della prof.ssa Margherita Apolloni e di Giovanna Ciarlantini, volontarie di Emergency, a un colloquio con gli studenti del Liceo “Giacomo Leopardi” sulla genesi e sul significato del suo libro, i cui proventi andranno in parte a finanziare le attività di assistenza sanitaria dell’associazione Emergency a Gaza.
Mario non ha proiettato immagini, filmati, effetti speciali: ha catturato l’attenzione degli alunni con la sua presenza, la sua voce, la sua esperienza. E, naturalmente, con la lettura delle poesie.
Se qualcuno si aspettava un attivista attempato, corrucciato e con una presunzione di superiorità morale, si è dovuto ricredere: è giovane, con un aspetto mite ma deciso, Mario, laureato in Filosofia del Linguaggio a La Sapienza di Roma, attualmente studente di Antropologia culturale presso il medesimo ateneo. Un giovane come tanti, un giovane come i nostri studenti, che un giorno, insieme ai suoi amici Antonio Bocchinfuso e Leonardo Tosti, ascoltando le notizie provenienti da Gaza, si è chiesto cosa potesse fare lui in prima persona. E - ha raccontato ai ragazzi - attraverso internet ha trovato un modo per “esserci”, perché gli uomini, le donne, i bambini di Gaza non si sentissero inesistenti. Il mezzo è stato la poesia: i tre giovani italiani hanno contattato attraverso i canali social i poeti gazawi che, quando la linea lo consentiva, cercavano un modo per far sentire la loro voce.
Le parole poesia e guerra potrebbero sembrare quasi un ossimoro, eppure - ha fatto notare Soldaini- in palestinese “casa” e “verso” si dicono con la stessa parola: "bayt" (بيت). Perché la poesia è uno strumento per ricostruire quelle case che sono diventate macerie, ma che sono ben più di semplici muri: sono un tessuto di storie, di appartenenza, di familiarità, di affetti, di dolori e speranze condivisi.
Poi l’invito ai nostri studenti a non rimanere inerti davanti alla storia che si consuma sotto i nostri occhi, alle sofferenze di un popolo che per troppi anni è stato invisibile, soprattutto ora che i riflettori dei media sulla Palestina si stanno pian piano - di nuovo - spegnendo: non è vero che non si può fare niente, i giovani possono e devono dire che vogliono un mondo diverso. Attraverso piccoli ma importanti gesti concreti, come quello di contattare Haidar Abdalqader Alghazali, poeta palestinese selezionato nella raccolta delle poesie da Gaza, accolto dall’Università degli Studi di Macerata insieme ad altri due connazionali, Sama Zohair Al-Saqqa e Tala Mahmoud Ibrahim perché sentano davvero di aver trovato una nuova famiglia in Italia, perché si sentano visti e chiamati per nome.
E, non ultimo, l’incontro con Mario Soldaini è stato anche una lezione di letteratura, quando è stato ricordato che la poesia non è, non può essere più, uno sguardo al proprio ombelico, un narcisistico citazionismo postmoderno: la poesia, se è tale, ci mette in crisi, non ci assolve. La poesia è, oggi, a Gaza, preservare la memoria che si fa cronaca, ma è anche la promessa di una felicità che verrà.
Così scriveva, prima di morire, il poeta Refaat Alareer, assassinato in un bombardamento mirato il 6 dicembre 2023:
“Se dovessi morire,
tu devi vivere
per raccontare
la mia storia”.
Quando la parola è passata agli studenti, nessuno ha fatto domande. “Non è che non ci fosse niente da dire - hanno poi ammesso - ma c’era così tanto su cui riflettere che ogni parola sarebbe sembrata di troppo. O troppo poco”.

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